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Rassegna stampa

La stampa nazionale, fin dal concerto di Lucca, ha recensito con passione ed entusiasmo i live della DMB in Italia. Assente da 10 anni dal nostro paese, il ritorno della band nel 2009 è stato un trionfo, immortalato nella release ufficiale del box set Europe 2009, che ha messo d'accordo anche due riviste musicali storicamente "rivali" come Buscadero e JAM, dove il box set è stato recensito in Febbraio come album del mese.

Ecco una selezione della rassegna stampa del tour italiano 2010 della DMB, comprese le interviste a Corsina Andriano e Luigi Lenzi, rispettivamente Presidente e Fondatore di Con-Fusion.
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La Dave Matthews Band spopola a Roma acustica e falsetti impeccabili

di Simona Orlando

ROMA (24 febbraio) - Le suppliche sono state ascoltate e dopo varie petizioni un promoter di buoncuore (D'Alessandro &: Galli) si è occupato di portare la Dave Matthews Band a Roma, operazione solo apparentemente rischiosa, visti i seimila biglietti andati via in un lampo. Oltre trenta milioni di dischi venduti nel mondo, prime posizioni nelle classifiche ufficiali, tour infiniti e sempre sold out: questa la situazione in America, a differenza dell'Europa dove l’accoglienza del gruppo è ancora modesta rispetto alla sua portata.

Ieri sera subito il colpo d'occhio entusiasmava. Una scena in carne ed ossa, senza fronzoli distraenti. Dave Matthews in zona centrale con la sua acustica, a cimentarsi in falsetti e in momenti percussivi, la voce impegnata in un saliscendi impeccabile. Un uomo qualunque, educato, un volto comune, in grado di tenere la scena senza ricorrere ad egocentrismi. Intorno, la pirotecnica sessione ritmica (Stefan Lessard al basso, Carter Beauford alla batteria), il violino elettrico (Boyd Tinsley), il trombettista Rashawn Ross, il sassofonista Jeff Coffin, il chitarrista Tim Reynolds, in un affiatamento che incanta e ricorda quello della E Street Band con Springsteen. Sette musicisti incollati come siamesi, che cercano incastri finché non trovano l'intesa, finché non la consumano. Una vera jam band che in concerto non ha nulla di predefinito, non ha idea di quello che andrà a fare e anche quando, caso raro, propone la stessa scaletta, sceglie di eseguire le canzoni ogni volta in maniera diversa.

È relativamente importante conoscerne i titoli, tanto sono strumentalmente e fisicamente travolgenti, un turbinio di folk, rock, blues. Come bravi scenografi montano le assi sonore e colorano la musica fino a ricreare paesaggi, della Lousiana, di New Orleans, la parata tradizionale del Mardi Gras, il delirio del quartire francese, una festa liberatoria che nel fondo dei cicchetti di whiskey deposita grande malinconia. L'ultimo "Big Whiskey and the GrooGrux King" (un ritorno al suono che li ha distinti fino a "Before these crowded streets") è nato dalla perdita, umana e professionale, del sassofonista LeRoi Moore, una colonna portante, ma dopo lo choc il gruppo ha reagito, ha rovesciato la tristezza nella gioia della creazione e della partecipazione. A lui alzano il calice in "Why I Am." La partenza è sulla ballata "Lying in the hands of God", il rodaggio su "Shake me like a monkey" e sul singolo "Funny the way it is", del disco tengono anche "Seven", "Spaceman", "Alligator pie"; sul bis Dave Matthews rimane solo, in una "Baby Blue" da singhiozzo.

In "You might die trying" si fa strada l'assolo di Reynolds, chitarrista apprezzabile, che non basa il suo virtuosismo sulla velocità ma sul gusto. Dal passato pescano "Warehouse", a cui risponde il coro del Palalottomatica, un brano che si dilata nei generi fino a latineggiare. A seguire la bella "Don't drink the water", il dittico d'autore "Crash into me" e "Crush", dove la staffetta fra violino e chitarra elettrica si trasforma in un duello all'ultima nota.

Le canzoni si alzano come brindisi, sono intime e conviviali allo stesso tempo, fanno rivivere l'incontro al Miller's Bar di Charlottesville nel 1991, quando a servire da bere al bancone c'era Dave Matthews, e dall'altra parte ordinavano clienti che sarebbero diventati i suoi musicisti. Il concerto è una prova aperta, un flusso continuo. Lo spettacolo non c'è. Lo spettacolo sono loro, uomini normali con doti eccezionali, che modellano i brani come pongo, aggiungono, agganciano quel che c'è nell'aria, si trascinano, divertendosi, in code strumentali. C'è un momento per ognuno: il basso che sleppa e porta un groove, la batteria che pista, il sax che sfuria. Eppure, il tutto, senza dimenticare il valore della melodia. Dopo "Grey Street", lo sfrenato country in crescendo di "Two step", la cover di Daniel Lanois "The Maker", lo scat di "Jimi thing", arriva anche l'omaggio funky al Prince di "Sexy Mf".

Si ritorna a casa con due ore e tre quarti di live nel sangue. Mai sentito così bene al Palalottomatica. Merito degli ottimi arrangiamenti, grazie ai quali gli strumenti trovano una collocazione precisa senza mai sovrapporsi, merito del fonico e della professionalità della Dave Matthews Band. Ultima occasione per fare questa esperienza purificatrice dopo il calvario sanremese il 25 febbraio a Padova.

Il Messaggero (febbraio 2010)

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