Grazie al prezioso lavoro del fan club italiano Con-Fusion ed al coro d'entusiasmo che si leva dagli articoli di due illustri music-writers come Marco Denti e Mauro Zambellini, ma anche dal tam-tam sotterraneo di quanti hanno partecipato all'ormai leggendario concerto di Lucca dello scorso anno, la Dave Matthews Band ha finalmente raggiunto anche nel nostro paese il grado di notorietà che negli Stati Uniti la consegna ormai da tempo ai vertici delle classifiche per i biglietti dei concerti venduti. Per chi aveva perso la magia di Lucca, suggellata nello splendido box Europe 2009 (3 Cds ed 1 DVD che rappresentano oggi quello che negli anni '70 era At Fillmore East degli Allman Brothers: l'istantanea di una band in stato di grazia), le tre date di febbraio costituiscono un appuntamento imperdibile ed infatti il 22 febbraio a Milano, a salutare la prima tappa del tour della band americana, c'è un Palasharp quasi del tutto esaurito e pronto a perpetuare le "buone vibrazioni" instauratesi lo scorso anno tra gli artisti ed il pubblico italiano. Il calore dimostrato dai fans, con cartelli e striscioni che sventolavano sopra le teste della platea come capita di vedere solo ai concerti di Bruce Springsteen, viene premiato da oltre due ore e mezza di concerto, durante il quale la band dimostra di aver ben assorbito la scomparsa di un elemento cardine come LeRoi Moore, sostituito egregiamente dal sassofonista Jeff Coffin e dall'imponente trombettista Rashawn Ross. Le battute iniziali dello show sono segnate da due ballate dalla musicalità liquida, calda ed avvolgente come Proudest Monkey e Satellite,mentre il maestoso suono collettivo della Dave Matthews Band esplode in tutta la sua potenza a partire da You might die trying, uno dei tanti momenti in cui la band lascia scorrere gli strumenti in un vigoroso groove, che congloba funky, soul, jazz, rock e melodia pop. Composizioni recenti pescate dall'ultimo album Big Whiskey and the GrooGrux King, come Funny the way it is, Seven, Squirm, Shake me like a monkey, la dolce You & me o la malinconica Lying in the hands of God, si rivelano all'altezza di classici come la splendida ed evocativa Crash into me, l'hit Dancing nancies, la potente Don't drink the water o la lunga ed improvvisata Jimi Thing, fantasmagorica sequenza di virtuosismi e jam. Nonostante la cattiva reputazione del Palasharp, l'acustica è perfetta e tutti i dettagli dello sfacettato suono della Dave Matthews Band sono percepibili in maniera nitida in platea, dai ricami elettrici della chitarra di Tim Reynolds, ai funambolici fraseggi del violino di Boyd Tinsley, ai pulsanti groove del basso del bravissimo Stefan Lessard, fino alle eleganti variazioni soul-jazz della sezione fiati. Un discorso a parte merita il batterista Carter Beauford, autentico spettacolo nello spettacolo, che nascosto dietro ad una cattedrale di tamburi, scandisce ritmi con la precisione e la forza di una macchina. Con i suoi modi da anti-divo, Dave Matthews coniuga la grazia del folksinger all'energia del rocker, stregando la platea con una voce forte ed espressiva in una ballata acustica come Baby Blue; facendola danzare nel crescendo di Everyday o cantare in coro nella conclusiva Ants Marching. Manca All along the watchtower, il noto brano di Bob Dylan che la band ha ormai plasmato a proprio gusto, sostituita questa sera da Burning down the house dei Talking Heads, cantata in duetto con il trombettista Ross, una composizione che sottolinea la funky-side della Dave Matthews Band, che si conferma uno dei più coinvolgenti e trascinanti live-act in circolazione.
Buscadero (aprile 2010)